Il rumore pieno e sordo di una suola che urta contro l’asfalto, la marcia ritmica di un esercito, l’incedere della working class britannica, il passo minaccioso di uno skinhead, è l’attrito di un ANFIBIO che batte contro il terreno.
Un suono che faceva trasalire l’animo, e che adesso rimbomba fra le passerelle e i redcarpets, basso continuo della nostra quotidianità. Che fine ha fatto l’identità dello scarpone militare, scelto come simbolo da tante culture underground? Si è trasformato in accessorio moda e dell’originaria anima ribelle non ne conserva che una labile traccia.
La storia dell’anfibio si perde in un vortice temporale, ancorando la sua nascita ai sanguinosi periodi bellici, per acquisire, invece, una funzione estetica a partire dagli anni 60.
Tutto inizia al tempo della Grande Guerra, quando i minatori e i soldati hanno bisogno di scarpe resistenti e protettive, perciò vengono realizzati i cosiddetti “Bulldog Boots”, i classici anfibi militari neri a dieci buchi, con suola chiodata e cucitura sulla punta, diffusamente utilizzati in entrambi i conflitti mondiali.
Nel secondo dopoguerra la manifattura di scarpe inglese R. Griggs & Co. di Wollaston decide di applicare ai suoi stivaletti un modello di suola “ad aria”, creata da un medico tedesco con gli scarti di gomma della Luftwaffe: nasce così il primo paio di Dr Martens. Dai soldati ai postini, li indossano tutti, persino le casalinghe tedesche e i poliziotti britannici, costretti ad annerire le caratteristiche impunture gialle.
Con l’esplosione delle contro-culture, gli anni Settanta consacrano i combat boots all’immortalità, facendone un simbolo di antagonismo e ribellione sociale condiviso dalla Manica a Oltreoceano. In Inghilterra spopolano sia fra i seguaci di generi musicali di rottura, come il punk, sia fra le file della sinistra proletaria e militante, mentre in America le femministe li calzano per rivendicare la loro indipendenza.
I primi in assoluto a farne bella mostra con un certo compiacimento ornamentale sono gli skinheads di East London, di regola abbigliati con bretelle, polo Fred Perry e Dr Martens a 8 o 10 buchi; utili in una rissa e comode a lavoro.
La carriera modaiola di questi stivali incomincia ai piedi dei mods e delle celebrities come Pete Townshend degli Who. Successivamente gli anfibi consolidano la loro fama come tratto d’appartenenza ad ambienti alternativi, venendo immediatamente adottati per il loro valore anticonformista dagli stilisti d’avanguardia.
Pionieri assoluti nel reinventare lo scarpone in pelle sono i giapponesi Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto, seguiti a ruota dall’austriaco Helmut Lang e dall’ondata di creatività radicale belga, prima con Martin Margiela, poi con il gruppo dei “Sei di Anversa”. Poco dopo i combat boots vengono proposti anche da marchi più tradizionali come Gucci o Prada, donando loro una nuova identità glamour e inaugurando un trend.
Oggi, queste iconiche calzature sono veterane delle passerelle. In un modo o nell’altro, è facile vederle indossate dalle star. Nonostante i tempi siano cambiati e lo spirito sovversivo sia andato perduto, per i nostalgici quel suono resta, trascina con sè l’eco di una storia di resistenza, al di là di ogni effimera convenzione.
Stefano Matina
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bellissimo ed interessantissimo post sugli anfibi Stefano!
perfetto come sempre 😉
baci!
Li adoro!
http://www.rougeandchocolate.com
Molto interessanti e approfondite le notizie riportate in questo post…. Indovinata l’impostazione, ideale per chi, come il sottoscritto, è sempre stato distante da tutto ciò che è moda, look, fashion, e che così ha modo di prendere confidenza con tanti argomenti inerenti tutto ciò che ha a che fare col costume….. Particolarmente calzante (é il caso di dire!!!) la citazione del titolo, mutuato dalla canzone di Nancy Sinatra….
Stefano i miei complimenti per questo post, adoro gli anfibi e adoro come ne parli!! Finalmente qualcuno che spiega le origini e il vero significato di indossare un paio di anfibi!!
Un abbraccio,
Silvia