Venni colpito da quell’immagine. C’erano montagne di libri, ma quella copertina mi rapì. Era la foto di un primo piano, dove spiccava un volto silenzioso e austero, truccato pesantemente di bianco, un trucco così spesso da sembrare una seconda pelle, e quello sguardo dal taglio orientale, profondo e pieno di chissà quali visioni. Il volto era incorniciato da ciuffi di capelli e un berretto, al di sotto spuntava il colletto di un costume. Si trattava dell’interpretazione di Petruska di VASLAV NIJINSKY.
Più tardi, soltanto leggendo i diari capii quanto il personaggio della marionetta russa capace di provare sentimenti poteva proiettare esattamente, per certi versi, la vita dell’artista ballerino.
Nijinskij fu uno dei più grandi ballerini del Novecento; nacque il 12 marzo del 1890 da una famiglia di danzatori polacchi, si iscrisse alla scuola di ballo imperiale di San Pietroburgo e a soli diciotto anni si esibì nel meraviglioso teatro Mariinskij.
Era straordinariamente dotato, agile, ma, allo stesso tempo, chiuso e di poche parole. Il suo carattere come la sua vita erano macchiati di una bellezza maledetta e folle.
L’incontro che cambiò sia vita che carriera dell’artista fu quello con Sergej Diaghilev, personaggio importante dell’élite russa di allora, ricco mecenate e promotore di arti visive e musica, nonché creatore della compagnia Les Ballettes Russess che, insieme al coreografo Michel Fokine, la renderà una delle compagnie più prestigiose della storia della danza.
Sarà il rapporto intimo e amoroso con Diaghilev a tormentarlo, e fu proprio per questo che Nijinsky si sentì ad un certo punto una marionetta nelle sue mani, quella marionetta così ben interpretata in Petruska.
Si prova una certa invidia per non essere stati là, per non aver potuto assistere agli spettacoli coreutici nei quali Nijinsky passò alla storia per le sue interpretazioni indimenticabili: quegli spettatori furono testimoni di performance dal calibro artisticamente divino.
Pavillon d’Armide, Cleopatra, Giselle con la Pavlova, Sheherazade, Les Orientales, Giselle con la Karsawina, Le spectre de la rose, Narcisse, Le carneval, Le Dieu Bleu e Petruska. Questi i titoli dei molti spettacoli in cui interpretò schiavi indorati, dai movimenti felini e sensuali, dei o marionette.
Le poche foto giunte a noi mostrano costumi dal fascino intriso di mistero, veri simboli dell’azione drammatica.
Abiti decorati, orientaleggianti, preziosi, dorati; meraviglioso quello per lo Spectre de la rose: le calze attillate chiare e tanti piccoli petali di tessuto cuciti sul busto, mentre la tuta super attillata per Le Faune metteva in risalto la fisicità umana e, allo stesso tempo, con l’aiuto di colori e protesi in tessuto, la bestialità mitologica.
Breve ma intensa e innovativa la carriera da coreografo con Le faune, Le sacre du printemps, Jeux e Till Eulenspiegel, musicati da autori come Stravinskij, Debussy e Strauss.
Nei primi due è importante ricordare come vennero scardinate le posizioni classiche tradizionali, il movimento qui appariva congelato, con pose innaturali e rievocanti le posture di profilo dei bassorilievi antichi; saltelli brevi, sincopati e quasi grezzi, primitivi e destrutturati per La Sagra.
Vaslav, come ricorda la sorella durante le prove degli spettacoli nei quali era coreografo, non amava spiegare a parole, preferiva comunicare con il mezzo assegnateci dalla natura.
Non a caso Alexander Tairov scrisse: “La danza comincia ove la parola si arresta”.
Immagino Nijinsky negli occhi degli spettatori, quando con i suoi jetè attraversava il palco, o come cantava Battiato in Prospettiva Nevskj. “Poi guardavamo con facce assenti la grazia innaturale di Nijinskij”.
Fonti
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Stefano Matina
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