“La moda è un atto di fede. In questo mondo che tenta di distruggere uno dopo l’altro tutti i suoi segreti, che si nutre di false sicurezze e rivelazioni inventate, la moda è l’incarnazione stessa del mistero, e la prova migliore del suo incantesimo è che non se ne è mai parlato tanto come ora“
Christian Dior et moi, di Christian Dior, libreria Amiot Dumont, 1956
Gonna a ruota con una circonferenza di venti metri, cappello sulle ventitrè, incedere insolente: il 12 febbraio del 1947, quando appare, non è un sogno, ma un’ autentica allegoria di PARIGI; è l’incarnazione della femminilità, maliziosa, voluttuosa, un misto di follia e di eleganza … Accadeva 66 anni fa: era il NEW-LOOK, un magistrale calcio d’inizio che riconquistò a tutta la moda parigina il posto cancellato dalla guerra.
E anche se gli anni passano, il nome di DIOR non è offuscato dai segni del tempo. Altre grandi firme dell’abbigliamento sono sinonimi di uno stile; Dior invece esprime tutta la magia della moda e la sua capacità di rigenerarsi continuamente. E’ stato Dior a sciogliere il vincolo che legava il tempo e il meraviglioso, trasformando il ruolo dell’alta moda: se fino a quel momento era destinata a vestire una minoranza di privilegiate, grazie a lui è diventata il mezzo per far sognare milioni di donne. “Le donne, con il loro istinto sicuro, hanno capito che il mio obiettivo era di renderle non solo più belle, ma più felici“: e così Dior, poeta e mercante, ha affidato alla moda il compito di esprimere i desideri della società e ne ha rivelato il potere di comunicazione universale, facendo prendere una volta per tutte alla sua storia un corso democratico.
Il suo è un destino unico, come l’amico Jean Cocteau aveva indovinato in “quel nome magico che include Dio e l’oro“. C’è una bella intuizione dietro allo spiritoso gioco di parole del poeta surrealista, che ha saputo trovare nel nome di Dior la briciola di eternità appartenente al mito. Da 66 anni, questo nome è sinonimo di lusso e di moda, e continua ad imporsi nell’universo delle firme più illustri, grazie al suo impegno costante e discreto di sviluppare l’eredità di Dior. Perchè Dior è un insieme di tre elementi inscindibili: eleganza assoluta, femminilità estrema, gusto compiuto.
Come si è formata, di che cosa è fatta la fonte viva di questo patrimonio, alle cui norme si ispirano le creazioni di oggi? Il segreto va cercato innanzitutto nella vita e nell’opera di Christian Dior, in cui si manifesta il modo di procedere di un vero artista su una via comunque imprevedibile, segnata da traversie e incidenti, ma anche da colpi di fortuna. Certo mancavano tutte le premesse perchè Christian Dior facesse carriera nella moda. Anzi, al contrario! E questo spiega perchè egli attribuisse tanta importanza alle carte, all’astrologia, alla chiaroveggenza e alle occasioni inattese offerte da un capriccio del destino. Era nato il 21 gennaio 1905 a Granville, porto sulla Manica, che da importante centro per la pesca divenne elegante stazione balneare. La sua famiglia rappresentava un perfetto esempio della buona borghesia dell’epoca: uno zio ministro, Lucien Dior; un padre, Maurice Dior, che diventava sempre più ricco grazie a lucrosi affari nel campo dei fertilizzanti; e una madre elegante, Madeleine, impegnata a trasformare quella fortuna in una vasta gamma di piaceri.
L’avvenire del piccolo Christian sembrava tracciato con chiarezza. Era il secondogenito di cinque figli, allevati con rigore dalle governanti, secondo i princìpi di una perfetta educazione, ma dimostrava inclinazioni singolari. Un’autentica curiosità per le piante e i fiori del giardino che la signora Dior aveva fatto costruire a Granville, ed era il suo capolavoro. E soprattutto un precoce talento per il disegno, che si manifestò in occasione del carnevale. Granville era celebre per il suo carnevale, e il piccolo Christian, esaltato dalle sfilate di carri fioriti e dai cortei, era bravissimo a inventare maschere. Un gioco infantile? Il futuro avrebbe dimostrato che nel gioco si celava un autentico talento d’artista. Ma nessuno intorno a lui si curava di favorire inclinazioni per nulla contemplate nell’ambito della carriere considerate onorevoli per un degno giovane di buona famiglia. E quando, dopo la maturità, Christian Dior annunciò di voler entrare all’Accademia di Belle Arti, si scontrò con il netto rifiuto dei genitori. Fu la prima rottura, ma garbata, perchè Dior apparteneva ad una generazione che doveva conformarsi alla volontà degli adulti. Accettò quindi di iscriversi a l’Ecole des Sciences Politiques (sua madre sognava un figlio ambasciatore) ma senza rinunciare al diritto di marinarla di nascosto. E fu proprio nel tempo trascorso fuori dalle lezioni che riuscì a maturare e a formarsi. Christian Dior si sentiva attratto da Parigi vibrante di novità.
Era l’epoca del Boeuf sur le Toit, dei Ballets Russes, delle gallerie d’arte astratta, luoghi di incontro di un pubblico elegante con un mondo artistico di cui Jean Cocteau era la guida incontrastata. Dior entrò a far parte di una piccola banda di giovani, che in futuro avrebbero conosciuto la gloria, ma allora erano soltanto ragazzacci geniali: pittori come Christian Bérard, musicisti come Henry Sauguet e il Gruppo dei Sei, letterati come Maurice Sachs. Anche lui studiava musica, si interessava di pittura, frequentava le avanguardie, fino al giorno in cui la bocciatura a Scienze Politiche rischiò di porre termine alla sua vita di artista dilettante. Infatti il padre si era arreso di fronte alla resistenza passiva del figlio, e non potendone più aveva accettato di finanziargli una galleria d’arte. Una felicità che durò poco.
Nel 1931 il patrimonio di suo padre si bruciò in una serie di speculazioni sbagliate. Seconda rottura e brusca questa volta! Era finita la jeunesse dorée: Dior doveva incominciare a guadagnarsi da vivere. Eppure, a dispetto delle apparenze, quel rovescio di fortuna avrebbe consentito a Christian Dior di manifestarsi. Certo dovette superare gli anni bui della disoccupazione, nell’assidua lettura degli annunci economici, senza fissa dimora nel senso in cui si intende oggi, cioè trasferendosi di nascosto da un amico all’altro, mangiando un giorno sì e un giorno no, fino ad ammalarsi di tubercolosi; ma tutto sommato ritrovò il talento perduto.
Un giorno che era completamente scoraggiato, dopo aver cercato invano diversi impieghi, uno dei suoi amici che lavorava nella moda gli propose di cimentarsi nel disegno. Era la strada buona! Dior si applicò, andò a lezione, ma i suoi schizzi avevano già la peculiarità di evocare la vita, il movimento, già lasciavano quasi immaginare la donna dietro al vestito. Così, vendendo i propri disegni a destra e a manca, nel giro di due anni riuscì a farsi assumere come modellista da Piguet.
Poi scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Altra prova, questa volta collettiva, che costrinse Dior a rifugiarsi a Callian, nel Var, dalla famiglia. Tornato a Parigi, trovò occupato il suo posto da Piguet, ma riuscì a farsi assumere da Lucien Lelong. E lì a poco a poco scoprì di essere uno stilista creativo, al quale stava stretto il ruolo di comprimario. Aveva quarant’anni; intorno a lui, tutti i suoi amici avevano raggiunto il successo. Anche lasciando da parte Cocteau, Pierre Balmain, compagno di apprendistato da Lelong, si era appena messo in proprio con una casa d’alta moda dal lancio assai promettente.
Insomma, che cosa aspettava Christian Dior per spiccare il volo? Dopo tanti anni di esitazioni e incertezze, anni in cui il suo talento era maturato e si era chiaramente delineata una vocazione che lui stesso ignorava di avere, d’un tratto si trovò a imboccare una svolta folgorante. Il caso lo mise in contatto con Marcel Boussac, il magnate del tessile. Dior riuscì a essere convincente con Boussac, l’uomo più potente di Francia, circondato dall’aura prestigiosa dei suoi giornali e dalla scuderia di purosangue. Alla fine del colloquio e contro ogni aspettativa, il re del cotone si dichiarò pronto a finanziare una casa di moda con il nome di Dior.
Era difficile supporre che l’apertura di una nuova casa d’alta moda, in un periodo di estreme restrizioni, cioè di crisi, potesse occupare la prima pagina dei giornali di tutto il mondo, ma per Dior era venuto il momento di credere nella buona stella. Le cartomanti che frequentava da quando era ragazzo gliel’avevano assicurato: avrebbe avuto successo grazie alle donne.
Insomma, in quello storico 12 febbraio la fortuna aveva bussato alla sua porta: “Christian Dior, che il giorno prima era uno sconosciuto, divenne famoso all’improvviso” scrisse Françoise Giroud. La giovane redattrice di “Elle” come tutti coloro che assistettero alla sfilata, non credeva ai suoi occhi. Che coraggio a lanciare una moda simile! Comparve la prima indossatrice, e il turbinìo della sua gonna mandò a farsi benedire i posacenere. Si susseguirono con lo stesso ritmo, uno, due, tre modelli. Gonne lunghe, vite sottili e busti prosperosi, era davvero inaudito … Le spettatrici, che indossavano gonne corte e giacche squadrate, erano stupefatte, e senza rendersene conto cercavano di tirarsi giù la gonna … La battaglia era vinta.
Ben presto la nuova moda scese nelle strade. E tuttavia Dior doveva essere impazzito! Con che coraggio rilanciava il lusso in un paese paralizzato dagli scioperi – duecentocinquantamila scioperanti a Parigi, tre milioni in Francia – dove saltavano i governi, mancavano la benzina, il carbone, il combustibile, c’era penuria di tutto? In condizioni simili, una moda come quella sembrava una provocazione. E l’incidente non si fece attendere: nel cinegiornale si proiettavano scene sorprendenti, una rissa tra donne per la strada. Erano casalinghe venute al mercato di rue Lepie, nel XVIII arrondissement, ancora vestite da poverette, che erano andate su tutte le furie alla vista dei primi abiti new look: si erano gettate sulle donne che li indossavano e le avevano aggredite, lasciandole mezze nude. Uno strano battesimo del fuoco per l’alta moda, che fino a quel momento non si era mai preoccupata di vestire la gente comune. Con Christian Dior era fatta: ben presto tutte le donne corsero a comprare stoffe. La nuova moda era il segno della felicità ritrovata.
La politica mancava di immagini simboliche capaci di contrastare la tetraggine, e quindi per quaranta milioni di francesi il new look fu il catalizzatore del desiderio di rialzare il capo, di ritrovare la salute, l’amore, la vita. Dior fu il primo a sorprendersene. In quell’occasione non aveva fatto altro che affidarsi all’intuito, come diceva: “quando si agisce in modo sincero e naturale, le vere rivoluzioni si fanno senza averle cercate“. Ciò nonostante riuscì a varcare una frontiera ancora più straordinaria: l’Atlantico. Infatti, è stata l’America la principale artefice del new look, a cominciare dal nome, di cui si è impadronita.
Christian Dior aveva battezzato la sua prima collezione con il nome di un fiore, Corolle, ma la temutissima Carmel Snow, direttrice di “Harper’s Bazaar” fu la prima a balzare sullo stilista per congratularsi: “Una vera rivoluzione, caro mio, i suoi vestiti hanno un meraviglioso new look”. Il giorno stesso la notizia si diffuse a New York. La 7th Avenue, l’industria della moda, che durante la guerra aveva perso i contatti con il continente, si era emancipata dalla moda parigina. Per riportarla all’ovile bastarono pochi mesi. L’Europa aveva perduto definitivamente il posto al centro dello scacchiere internazionale, ma gli americani che l’avevano liberata non l’avevano lasciata ancora. Il clima era propizio per una luna di miele – transitoria- fra i soldati americani e quella Parigi, che avevano attraversato, ma troppo in fretta, prima di rientrare in patria. Quest’infatuazione non è estranea alla rapidità con cui il new look riuscì a radicarsi, andando a portare un po’ di colore e di stile a casa dello zio Sam, dove tutto era diventato kaki, persino il pacchetto delle Lucky Strike.
La capacità di Dior di far sognare è il vero motivo per cui gli americani si sono riconosciuti spontaneamente in un mondo di immagini che esprimeva … il ritorno al passato. Il vero genio di Dior è stato nel saper osare di mettere lo scompiglio in tutti i riferimenti. Il new look non si limitò a porre fine allo stile deprimente della moda del periodo bellico: gonne corte, spalle mastodontiche, suole ortopediche e cappelli a cavolfiore (le donne si mettevano sulla testa tutto quello che non si trovavano nel piatto).
Dior tagliò i ponti anche con il retaggio dell’alta moda d’anteguerra, un movimento che, dopo aver assorbito il modernismo degli anni Venti, evolveva verso uno stile semplificato e funzionale, Gabrielle Chanel aveva avuto una certa influenza con i suoi tailleurs convertiti alla moda maschile, e aveva dato un tono minimalista all’eleganza. Christian Dior respinse tutto questo, cercando ispirazione nel più lontano passato … Scollature a balconcino, cappellini inclinati sull’occhio, gonne fruscianti: era il riemergere della Belle Epoque, erano le immagini di un passato dipinto nei colori vaporosi di Watteau o di Winterhalter.
Reazionario Dior? No, ma dotato di profonda sensibilità, di un sapere intuitivo e di una visione autonoma che sono i veri tratti distintivi dell’artista: “Avere gusto significa avere un gusto proprio“. Aveva capito che per cancellare le bombe di Guernica si doveva ritrovare la capacità del distacco e dell’oblio. E nello slancio spazzare via per forza il cubismo, il cemento, la linea geometrica e tutti gli angoli squadrati che avrebbero riaperto le ferite lasciate dalla macchina totalitaria. Beninteso, soltanto per il momento, perchè la moda è un eterno ritorno, e Picasso, Le Corbusier, Chanel erano a riposo solo per un pò. Del resto, Mademoiselle era andata a rifugiarsi in Svizzera, ma il successo di Dior la mandava in bestia. Avrebbe atteso il 1954 per tornare, dando al mondo il tempo di ricoprire le sue cicatrici con un po’ di colore e tenerezza, di grazia e opulenza. La stessa grazia infusa da Dior nell’arredo neo-Luigi XVI del palazzo privato di avenue Montaigne, che rievocava l’atmosfera fin de siècle della sua giovinezza.
All’indomani del trionfo, Dior fu invitato negli Stati Uniti. Un anno dopo, nel novembre del 1948, aprì la casa Christian Dior a New York. Lo stilista era andato negli Stati Uniti su invito di Neiman Marcus, nota sigla che identificava un grande magazzino del Texas, per ricevere l’oscar della moda. Ebbe l’occasione di scoprire per la prima volta l’immenso continente, che lo accolse come un divo. Dior si stupiva come un bambino di fronte alla libertà di quel paese, dove le donne a ore andavano a lavorare al volante della loro Chevrolet. Ma essendo profondamente europeo, non poteva fare a meno di sentire ciò che mancava a quella società, già toccata dal consumo di massa: il senso del lusso, il gusto dell’eleganza. E poi, durante il giro negli Stati Uniti, intorno al suo new look si scatenò una vivace polemica. La donna americana non si era lasciata convincere di punto in bianco dal nuovo stile; la pubblicità suscitata da quella controversia si dimostrò il modo migliore per imporlo. E già Dior constatava che nelle vetrine dei grandi magazzini comparivano imitazioni più o meno rozze. Dior non intendeva assolutamente che la 7th Avenue saccheggiasse le creazioni francesi, e quindi escogitò una strategia chimerica: “Noi siamo mercanti di idee“. La casa di New York avrebbe creato dei modelli appositamente per il mercato americano. Si erano gettate le basi di un impero commerciale.
Nel 1947 furono lanciati i profumi: al primo, Miss Dior, seguirono Diorama e Diorissimo.
La casa proseguì su questa strada, creando Poison nel 1985, Dune nel 1991, e Dolce Vita nel 1995 e molti altri. Le prime licenze per calze e cravatte risalgono alla stessa epoca dei profumi. Nel giro di qualche anno la grande casa, nella sua ascesa irresistibile, divenne un luogo di creazione complessa, e per la prima volta il concetto francese di eleganza e di gusto, condensato in una griffe, rappresentò la base di una rete gigantesca di imprese che davano lavoro a millesettecento persone; otto società e sedici aziende associate che diffondevano il marchio su cinque continenti, continuando a controllare con rigore le loro attività.
Quanto ai giovani talenti, affluivano in gran numero alla casa che rappresentava un faro per l’intera categoria. Nel 1955, quando la casa accolse un certo Yves Saint Laurent, Dior, che ne aveva notato il talento, fu il primo a dare spazio al giovane stilista prodigio della sua generazione, giungendo a indicarlo come il proprio delfino. Lo stesso è accaduto con Marc Bohan, che Dior aveva notato da Patou e fatto assumere poco prima di morire. Alla morte di Dior, nel 24 ottobre del 1957, lo scettro è passato senza scosse a Yves Saint Laurent, cui è succeduto Marc Bohan, a seguire Gianfranco Ferrè, John Galliano, Raf Simons.
Talvolta si rimprovera alla casa Dior di fare troppe cose. Questo era sicuramente vero per Christian Dior, divorato dalla passione del superamento. Dal 1947 al 1957, lo stilista non cessò di rinnovarsi all’interno di uno stile, creando due nuove linee all’anno: le linee Corolle, Envol, Aileè, Verticale, Oblique, Muguet, etc. Tutti colpo di scena che lasciarono senza fiato il pubblico e provocarano moltissimi commenti sulle prime pagine dei giornali, ma procurarono a Christian Dior un nomignolo affibbiato dagli americani, troppo scombussolati dai cambiamento: “Dittatore”. Gli rimproverarono, a ragione, di abusare del suo potere, decretando a ogni stagione nuove lunghezze, nuovi tagli delle spalle, e di provocare così una vera frenesia intorno alla lunghezza delle gonne, un subbuglio nell’opinione pubblica quasi inconcepibile al giorno d’oggi.
A partire dal 1950, la figura si addolcisce, nel 1954 la vita si libera con la linea ad H, e la comparsa dell’abito a sacco crea una levata di scudi. Ciò non impedisce a Dior di assicurarsi da solo la metà delle esportazioni di moda francese destinate agli Stati Uniti. Nonostante il tempo che passa e la società che cambia, permane una tradizione pura dell’eleganza, un perfetto equilibrio nel portamento, una architettura specifica della figura dal pedigree riconoscibilissimo, che non tradisce le origini: “L’abito – diceva Christian Dior – è un’architettura effimera destinata a esaltare le proporzioni del corpo femminile“. Una simile sentenza esclude qualsiasi infatuazione, qualsiasi concessione alle tendenze aneddotiche della moda.
Christian Dior ha affrontato il suo lavoro come un sacerdozio e innalzato l’alta moda al massimo grado di perfezione, fondando la sua casa su un senso del gusto, del piacere, dell’eleganza, che ha dato al suo futuro premesse incrollabili. Il nome di Christian Dior è stato consacrato come un valore finanziario quotato in borsa e domina un impero che rappresenta il primo gruppo mondiale nel campo del lusso. Tuttavia, dietro questa avventura brillante si cela un uomo solitario, affettuoso, timido e insieme un poco buffo, che conservò la sua diffidenza di fronte alla gloria, e un giorno uscì in una confessione commovente: “Ho sempre considerato l’esercizio della mia professione una lotta contro tutto quello che la nostra epoca può avere di mediocre e di demoralizzante“
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Wow che articolo interessantissimo. Complimenti. Io conoscevo già un po’ tutto perché amo questo brand e la persona di Christian Dior mi ha sempre affascinata, una sorte di odio/amore, di comprensione/astio.
Interessante la storia di Dior, io amo questo brand ma soprattutto la sua filosofia, il fatto di endere più felici le donne!stilisti come lui lasciano sempre un grande segno! bacii
Wow io tutte le volte mi innamoro dei tuoi post!!:) baciii
Come non innamorarsi di questo grande brand e della sua affascinante storia?
Win an amazing dDress for your phone!
Io adoro tutto di Dior, ma questo post e bellissimo :*
è un marchio che adoro!!
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Interessante, mi piace scoprire un pò di più sui nomi che hanno fatto la storia della moda!
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Che bel post! Stupendo! bellissime le foto che hai scelto!
adoro Dior! Fantastico l’articolo! Kiss
Laura Attacchidiclasse
Che abiti!! Hai scelto delle ottime foto 🙂
grazie per questo tuffo nel passato! Dio+ora geniale! 😀 molto belle le immagini!!!
Fantastico! Questi abiti sono da favola
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ogni abito di dior, anche quello più antiquato ha delle linee pur sempre attuali!!
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ho da poco fatto un esame di storia della moda,
ed ovviamente Dior è stato uno degli stilisti che più mi ha affascinato
ma grazie a quest’articolo ho scoperto molto di più!
Un post davvero molto interessante, non sapevo nulla della vita di Dior e posso dirti con sincerità che il mio interesse verso questo articolo è aumentato di riga in riga, complimenti!
uno dei miei preferiti!
Davvero un bel post! Interessante, ben strutturato e scorrevole! Fantastiche le foto che avete scelto! Dovreste farne altri di questo genere! 🙂
è proprio sinonimo di classe
♡B.
LOVEHANDMADE.ME
articolo stupendo, non può non andare dritto al cuore!
Un post assolutamente interessante, oserei dire avvincente nella descrizione minuziosa e doviziosa di dettagli biografici, riferimenti storici; oltremodo ricca e ricercata nella parte iconografica…..colpisce in particolare il titolo, mutuato da un gioco di parole che non sembra tale, ma più un vero destino già scritto….nel nome, appunto!!!