Spesso si dimentica che dietro alla parola Design si nasconde un mondo fatto di storie da raccontare, di messaggi da trasmettere, di passioni da tramandare: questo è parte di ciò che c’è dentro al nome Arago Design, un progetto nato dalla passione e l’impegno di Elisabetta di Bucchianico e Dario Oggiano.
L’Officina delle Invenzioni fu nel 2004 il primo passo verso questa direzione e da allora, dopo aver collaborato con istituzioni private e pubbliche (comuni di Pescara, Anversa degli Abruzzi, Atri e l’Area Ricerche e Progetti del WWF Italia), cominciarono a stringere diverse collaborazioni con scrittori e artisti di fama internazionale, tra cui Maurizio Maggiani e Alessio Tasca. Numerosi sono stati i riconoscimenti ricevuti a livello nazionale e internazionale, tra cui la partecipazione alla 54ma Biennale d’Arte di Venezia nei Padiglioni Abruzzo e Piemonte, Argillà – Faenza, Design Boom, Mini&Me – BMW Italia, ADI Associazione per il Disegno industriale – Young Design, MIG Design Contest, Promo Sedia – Udine, DAS – Roma Design +, ArTò, Mostra dell’Artigianato Artistico Abruzzese, ed altri. Dal 2004 hanno affiancato anche l’insegnamento all’attività professionale collaborando presso lo IUAV di Venezia e il Corso di Design della Repubblica di San Marino con Aldo Cibic, Gaddo Morpurgo e Marco Ferreri e prestando docenza in Design della Ceramica presso vari istituti universitari e strutture pubbliche e private.
Dal 2008 sono tra i fondatori dell’Associazione Culturale ALTACA, che si occupa di promozione della cultura creativa mentre dal 2013 sono direttori artistici del Progetto MUSA (Mater Universalis Signorum Aprutii).
Cos’è che vi ha affascinato della ceramica al punto di sceglierla come uno dei principali materiali delle vostre creazioni?
La nostra passione per la ceramica e la sua materia prima è legata alla consapevolezza che la scoperta da parte dell’uomo della trasformazione dell’argilla in ceramica segnò uno spartiacque fondamentale nell’evoluzione della progettualità. Qualsiasi progettista, qualsiasi creativo dovrebbe fare riferimento alla ceramica, dovrebbe essere cosciente che prima di essa la creatività era una creatività embrionale di formazione in cui l’uomo si interfacciava con la natura cercando le pietre e i rami più giusti, della dimensione più vicine a ciò che doveva realizzare e semplicemente li addizionava, sviluppando così una grande capacità di osservazione (che è il modo di interagire con il mondo del bambino); soltanto nel momento in cui l’uomo scoprì l’argilla è nata una maturità creativa fatta di plasticità della materia e noi come creativi non possiamo dimenticare questo. Ecco perché ci affascina l’argilla: noi ci sentiamo creativi e in quanto tali non possiamo non confrontarci in qualche modo con quello che è stato il percorso dell’essere umano. La ceramica, quando tu la produci, la cuoci, diventa quasi eterna. Quando fai un oggetto in ceramica devi veicolarci qualcosa di importante, qualcosa di importante per te: per noi è un mezzo per esprimere quello che pensiamo! Noi realizziamo oggetti che raccontano qualcosa: storie vere, storie false (infatti per un periodo le nostre ceramiche le dividevamo in storie di verità e storie di bugie) però comunque sono sempre storie. Quando si fa il Design con la ceramica, bisogna avere la consapevolezza che esso sopravviverà a noi e alle generazioni future e ovviamente devi chiederti cosa stai facendo e perché lo stai facendo. Nelle nostre creazioni ci muoviamo sempre tra la serietà di questo senso di responsabilità e il divertimento con gli aspetti giocosi.
Qual è il vostro approccio con la ceramica?
Il nostro approccio con la materia è quello di lasciare ad essa la libertà di ispirare la forma. Quando si fanno industrialmente gli oggetti a colaggio, ad esempio, una volta svuotati le imperfezioni si tolgono. Noi invece scegliamo di lasciarle perchè vogliamo conservare la memoria: la memoria del processo. Questo è anche un discorso educativo: ormai purtroppo nessuno si chiede più gli oggetti come vengono realizzati, nessuno ha più la curiosità; guardano il prezzo, guardano la forma, però nessuno sa più come si fa la ceramica: ecco perché vogliamo lasciare tangibile la memoria della natura del materiale. La produzione in serie con uno stampo non vuol dire necessariamente oggetti tutti uguali ma può generare anche delle diversità; se un oggetto è stato fatto con un materiale liquido, produce ogni volta dei bordi diversi che rappresentano la memoria di qualcosa: nel momento in cui tu compri una delle nostre tazze la scegli perché ti piace più o meno sgocciolata sgocciolata, più o meno perfetta ma, anche se si dovesse scheggiare, la conservi perché ti sei affezionato ad essa dal momento in cui la scelta unica tra tante.
Quanto sono importanti per voi la ricerca e la sperimentazione nel Design?
Non si può progettare se non si conosce approfonditamente il materiale. Uno degli errori più grandi che si commette, infatti, è quello di sbagliare il tipo di materiale perché non per tutti gli oggetti è indicato ogni tipo di materiale. I primi anni della nostra attività, ad esempio, sono stati un percorso progettuale ribaltato di osservazione: guardavamo la ceramica, osservavamo come si comportava l’argilla e a posteriori individuavamo eventualmente una funzione su quel tipo di comportamento formale, plastico, che la materia aveva assunto… e così, giocando con l’argilla liquida, si è sperimentato su lisce superfici piane di gesso, abolendo ogni forma tridimensionale per studiare la forma naturale che la materia assumerebbe senza limiti e da lì è partita uno studio sul Design applicato sia al materiale che alla forma naturale stessa che esso assume nello spazio. Questo percorso di ricerca è stato importante perchè ha permesso di produrre oggetti che provenendo da logiche anomale avevano anche una riconoscibilità: partendo da un percorso del genere si ottengono oggetti con un’originalità molto elevata proprio perché partono dal comportamento della natura e non da un disegno che hai in testa.
Qual è il rapporto che esiste con la dimensione territoriale e, in particolar modo, con l’Abruzzo?
Fondamentalmente pensiamo che ci sia un unico grosso territorio, che è quello globale, e che poi ci siano dei sottoterritori: ragionare sull’identità territoriale significa confrontarsi con la quotidianità dedicandosi al proprio “giardino”. Una volta questo era considerato un atteggiamento di assoluta conservazione ma nel nostro caso non è così: è una volontà di aprire il nostro territorio al resto del mondo. Se ogni creativo guardasse effettivamente alle risorse del proprio territorio specifico, al proprio “giardino”, e quindi non guardasse solo ed esclusivamente fuori, che poi è la tendenza di questi ultimi anni, potrebbe concentrarsi sulla qualità dei propri spazi individuando le risorse di cui esso dispone per poi riferirsi così ad esse e questo andrebbe a vantaggio di tutti poichè significherebbe che ogni “giardino”, in qualche modo, è curato anziché essere abbandonato per dedicarsi a curare il solo il “giardino” degli altri. Uno dei nostri obiettivi è infatti quello di porre l’attenzione al territorio per scuotere le coscienze degli abruzzesi e di far conoscere e comunicare in maniera più fresca e contemporanea l’Abruzzo fuori dai nostri confini. Per 3 anni abbiamo presentato i nostri prodotti di design territoriale al salone del mobile e la cosa più bella è stata vedere lo stupore dei non abruzzesi che si sono resi conto che l’Abruzzo non è solo quello che loro immaginavano ma è molto di più: è ricco di icone e di riferimenti che sono molto più internazionali di quello che si possa pensare. La Neola è quanto di più abruzzese ci possa essere, ma in Francia ci sono le gaufres , negli Stati uniti ci sono i waffel: la cialda è universale e viene capita dai giapponesi così come dagli americani. Le icone tradizionali possono essere molto più contemporanee di quello che si pensa: mettersi a studiare gli elementi vicini alla propria cultura ti fa rendere conto di quanti contatti essa ha con le altre del mondo.
Cosa significa per voi essere creativi nella società attuale e come è cambiato il modo di comunicare attraverso il Design?
Noi ci sentiamo dei creativi semplicemente perché siamo degli esseri umani e la creatività è l’unico elemento che contraddistingue l’essere umano dal mondo animale: l’animale ha l’istinto che lo guida mentre l’uomo, non avendo più l’istinto, deve usare la creatività per risolvere i problemi.
La creatività inizialmente era nata per migliore la condizione dell’uomo; con l’avvio dell’era dei consumi non c’è stato più bisogno di migliorare in maniera drastica le condizioni dell’uomo ma si è avviato un meccanismo dell’economia industriale attraverso il quale inizia una competizione tra le aziende per cui chi ha più forza, chi ha più disponibilità economica per poter “ingannare” il consumatore, riesce a vincere. Come creativi da una parte continuiamo a ragionare sulla contemporaneità e su cosa significa oggi essere un creativo e un consumatore ingannato, dall’altra cerchiamo in maniera più limpida e sincera di fare degli oggetti che hanno una loro funzionalità, oggetti di uso quotidiano che hanno un senso oggi. Le nostre creazioni come la Musa Ovina, la Schizzosfera o il Birillume, sono oggetti manifesto che ci servono per raccontare in maniera eclatante e un po più incisiva alcune di queste logiche: sono appunti tridimensionali che ci aiutano a descrivere questi inganni prendendo in giro in maniera plateale l’osservatore e il consumatore. Con il design, a differenza dell’arte in quanto non commerciale, riusciamo ad entrare nelle case e riusciamo a raggiungere un pubblico di utenti molto maggiore, il che significa che abbiamo degli strumenti per lasciare dei messaggi che sono più o meno espliciti, più o meno nascosti, piccoli semi che entrano in tanti luoghi e che possono in qualche modo germogliare; poi magari questi semi non germogliano però come creativi noi ci proviamo!